La Calabria dei vini

Nel contesto della produzione vitivinicola italiana che è sicuramente la prima nel mondo sia in termini di quantità, sia in quelli di qualità, quella calabrese assomma valori rilevanti. Ne è riprova il fatto che il Comitato delegato alla Tutela dei Vini ha creduto logico far decretare la Denominazione di Origine Controllata a dieci vini della regione che con i complementari sono in realtà quattordici; se si tiene conto che i vini italiani che godono di questo privilegio sono duecentotrentuno e si rapporta il numero dei vini calabresi a D.O.C. alla produzione regionale complessiva di vino, si ha scienza che la Calabria è in posizione di netto privilegio qualitivo, fra le prime regioni in Italia, senza dire che altri vini ci hanno valori e origini certe anche per ben aspirare alla decretazione della Denominazione di Origine Controllata: lEsaro, il Verbicaro, il Palizzi, il Lamezia Bianco, il Pellaro, lo Scavigna. Per dire solo di alcuni.

Mi ripeto. La Calabria privilegia nel contesto di una produzione limitata i valori qualitativi dei suoi vini. La stessa configurazione orografica delle sue province dà limmagine tipologica delle coltivazioni viticole che sono pressocchè esclusivamente collinari e consequenzialmente vocate a prodotti di alta elezione. Non solo. La inusitata estensione dei confini a mare della regione, da Praia a Villa S.Giovanni e di qui a Rocca Imperiale, per oltre settecento chilometri a fronte dei mari Tirreno e Jonio, determina le condizioni climatiche ideali per la produzione di uve da vino di indubbio pregio.

Può ben far esempio il Cirò che è il più conosciuto fra i vini calabresi e che da sempre viene incettato dai produttori piemontesi di Barolo; non solo per le affinità conclamate con il nebbiolo da barolo, ma anche per le altre peculiarità: profumo, tannicità, tenore dalcool, colore e per il sapore che risente beneficamente dellinflusso salmastro dello Jonio che tocca quasi tutta la zona di produzione. Tutte le province calabre hanno una netta vocazione vitivinicola, differenziata e ben definita. Sin qui la provincia di Reggio Calabria ha sfruttato solo in minima parte la sua potenzialità produttiva nel settore vitivinicolo, privilegiando altre colture tradizionali come lolivo e il bergamotto. Tuttavia bisogna dire che il non molto vino prodotto è quasi sempre di buona qualità; in molti casi più che eccellente. Basta pensare al Pellaro, prodotto nellomonima località, che è vino che merita grande considerazione. Ma altri ce ne sono: come il Palizzi, il Rosso di Bova, lArmacà, lArghillà, il Brancaleone, il Donna Canfora, il Calabresco, il Kalipea. Solo per citarne qualcuno. E sono vini che meriterebbero ben altra considerazione e diversa dimensione produttiva. La provincia di Reggio ha un solo vino a Denominazione di Origine Controllata: quel Greco di Bianco che ci ha buona fama e che può considerarsi uno dei migliori vini da dessert italiani. Peraltro i vini italiani da dessert che hanno avuto decretata la D.O.C. si contano sulle dita di una mano. Più conosciute, più strutturate e maggiormente estese sono le produzioni delle province di Crotone, Catanzaro e Cosenza; peraltro favorite dalla natura dei terreni. Sei vini a D.O.C. del catanzarese e del crotonese; Cirò Rosso con il derivato Cirò Rosato, Cirò Bianco, Melissa Rosso, Melissa Bianco, S. Anna Rosso con il derivato S. Anna Rosato e Lamezia Rosso. Alla provincia di Catanzaro va anche ascritto il venti per cento della produzione del Savuto Rosso con derivazione Savuto Rosato; questo vino infatti secondo il disciplinare può essere prodotto nel territorio di quattordici comuni della provincia di Cosenza e di sei di quella di Catanzaro. Nella provincia di Cosenza, oltre al Savuto Rosso con il derivato Savuto Rosato, si producono anche i seguenti vini a D.O.C.: Pollino e Donnici Rosso con il derivato Donnici Rosato. Faccio rilevare che se tutti i disciplinari consentono una resa in uva oscillante fra i cento e i centoventi quintali per ettaro, la resa reale però è nel più dei casi nettamente inferiore. Se si considerano infatti i dati statistici dellultimo triennio, la resa media in uva non supera i settanta quintali per ettaro. Di qui la notevole rilevanza qualitativa della maggior parte di questi vini. In Calabria non esistono le grandi superfici vitate, le maxiaziende o le cantine ispirate al gigantismo: le unità produttive sono tutte di dimensioni medio-piccole che consentono una maggior cura dei vigneti e una produzione selettiva dei vini. Le stesse Cantine Sociali hanno perlopiù dimensione limitata. Vale una considerazione. Tutto cambia, tutto muta, tutto ha un divenire. Soprattutto nel tempo più recente anche i gusti e le abitudini dei consumatori di vino sono di molto cambiati. Nè poteva essere diversamente, così come io ne scrivevo ancora un decennio addietro. Mutate i meglio, fortunatamente, le condizioni economiche degli italiani (e non solo degli italiani), minore la fatica e il tempo di lavoro, la vita meno disagiata per il diffondersi della motorizzazione e per la migliorata abitabilità, è cambiato anche il tipo di alimentazione. E di conseguenza anche quello dei vini. I bianchi trovano sempre maggiore spazio; è così pure i rosati. Per i rossi lorientamento è verso i vini non impegnati, di pronta beva, freschi, beverini e nel contempo sapidi. Proprio in considerazione di ciò i vini calabresi possono avere sicuramente mercato, si può ben dire che sono moderni: dal Cirò al Melissa, dal S. Anna al Lamezia, dal Pollino al Donnici. E pur anche al Savuto nel medio invecchiamento. Senza dire dei bianchi e dei rosati che incontrano sempre maggior favore. Per ogni singolo vino si danno alcune indicazioni sulluso in abbinamento dei cibi: ciò nonostante mi preme dire che le possibilità duso sono pressocchè illimitate. Ogni consumatore può studiarsi gli abbinamenti più giusti a seconda dei cibi, del modo in cui essi sono cucinati, degli ingredienti e dei condimenti. Oltretutto i vini calabresi (tolti il Savuto, il Cirò e il Melissa rossi nel lungo invecchiamento) sono tutti polivalenti e possono essere usati anche per tutto il pasto. Fatta eccezione sintende per i tipi da dessert: e con la sola raccomandazione - penso inutile - di non usare i rossi con il pesce che non sia brodettato. Un discorso particolare si meritano i vini bianchi calabresi. Cè convinzione, anche in buona parte degli stessi residenti, che la Calabria sia una regione scarsamente vocata ai vini bianchi. Convinzione quanto mai errata. Basterebbero a smentirla infatti il Cirò Bianco e il Melissa Bianco che non solo sono vini a Denominazione di Origine Controllata, ma che ci hanno - specie per alcuni tipi particolarmente curati dai produttori - una loro larga validità qualitativa. Ma altri ce ne sono ancora come lEsaro, il Val di Neto, il Lamezia Bianco, il Provilaro, il Calabresco, il Donna Canfora e il Moscato: per dire solo di alcuni, perchè non vi è zona in cui non siano messi a dimora vitigni di uve bianche. Se è vero, così come è vero, che il vino è nella migliore tradizione culturale dei calabresi (si dice che il Cirò fosse bevanda e nutrimento per gli atleti che partecipavano alle Olimpiadi nellantica Grecia) è altrettanto vero che i calabresi di oggi di vino ne consumano piuttosto poco. Secondo il dato statistico più recente il consumo medio annuo pro-capite è di sessanta litri, uno dei più bassi di tutta la Penisola. Ora, pur avendo io scarsa considerazione per gli astemi che sono quasi sempre esseri malinconici, tristi, introversi e assai spesso ipocondriaci, non sono manco uno che propugni lalcolismo. Tuttavia mi vien spontaneo considerare che se i calabresi che sono - secondo i dati dellultimo censimento - due milioni centocinquantamila, bevessero come i veneti, (centododici litri pro-capite) il loro vino anzichè commerciarlo anche fuori regione e in parte anche allestero, dovrebbero comprarlo altrove. Non è timore che valga, considerato che attualmente le aree a vocazione vinicola della Calabria sono sottoutilizzaate per almeno il cinquanta per cento e ancor più quelle dove si producono i vini a D.O.C.. Cè peraltro in atto la volontà di valorizzare appieno le produzioni, sia da parte dei singoli, sia da parte delle cooperative e dellEnte di Sviluppo (ex Opera Sila) abbandonando le colture correnti e privilegiando le più elette. E del tutto restrittivo però limitare unanalisi della produzione vitivinicola calabrese ai soli vini a Denominazione di Origine Controllata; altri ce ne sono infatti che ci hanno buon valore qualitativo e che vanno apprezzati per le loro peculiarità organolettiche. Nel contesto del turismo calabrese è sicuramente essenziale e prioritario ai fini economici della regione - e ancor più lo diventerà negli anni a venire nelle sue diverse forme: balneare, montano, termale, di caccia e pesca e di transito - i vini regionali possono trovare non solo una macroscopica possibilità di assorbimento diretto, ma ancor più il migliore e il più efficace modo di costruirsi unimmagine ben definita e precisa: che è essenziale alla loro più piena valorizzazione. Unimmagine che per alcuni vini è già abbastanza definita, ma che per altri anche nellambito della stessa regione resta un tantino sfocata. Ingiustamente. Non solo per i loro intrinseci valori qualitativi di cui mi sembra di aver detto ampiamente a ragion veduta, ma anche ai fini delleconomicità. I vini di Calabria, infatti, tenuto conto del tipo degli impianti viticoli prevalentemente collinari con la conseguente resa limitata, ci hanno un prezzo che - a livello dimbottigliato - è quasi sempre competitivo. Di qui un altro valido motivo perchè possano godere delle preferenze di un sempre maggior numero di consumatori.

Gianni Bonacina